lunedì 23 maggio 2011

Cicatrici

Lui parla in prima persona singolare.
Eppure, stento a capire chi sia l'egoista.
Il fatto che i suoi piani scombussolino quelli che abbiamo fatto insieme e che lui nemmeno se ne accorga mi manda in bestia.
Ho aspettato mesi di poter parlare con un medico del centro inferilità, per assecondarlo, per non insistere troppo, e ora lui in un attimo spinge più in là la linea della mia pazienza.
Io, i miei desideri, le mie malinconie, le mie malattie.
Capisco di non essere un peso piuma. Eppure potrei essere peggiore.
Potrebbe non ritrovarmi, quando ritornerà.
Perché forse non è lui che mi fa arrabbiare, sono io che voglio arrabbiarmi per poter scappare, per trovare in fretta e furia un uomo alfa dagli spermatozoi più efficaci.
E può darsi che a fermarmi siano soltanto queste cicatrici.

giovedì 14 aprile 2011

Se tutto quel che temevi potesse accaderti ti è già accaduto, forse non hai più molto da temere (tutto sommato)

Da bambina, come tutti i bambini, temevo una sola cosa: la morte. Sono morta, in un certo senso. Dodici ore di anestesia totale per risvegliarmi a un'altra vita, dove sono io ma non sono più io, in fondo. Mi hanno tolto qualche piccolo pezzetto ma me ne hanno attaccato uno di gran lunga più grosso: la certezza che sì, si può morire, e che può succedere anche a me. Il sospetto che non avrò bisogno d'invecchiare e che non dovrò preoccuparmi della pensione. La paura costante della ricaduta, della malattia.
Da bambina, a differenza degli altri bambini, temevo anche un'altra cosa: che non avrei potuto seguire le orme di mia madre. Che non avrei mai avuto una figlia, né, due, né tre. Anche questo, è accaduto. Sta accadendo, proprio adesso. Nonostante mi fossi convinta che dovesse esserci un risarcimento per quella mezza-morte. Nonostante abbia avuto l'ardire e la forza di mettere un tempo futuro davanti al presente, d'immaginarlo, di programmarlo mio malgrado con calcoli e stick e sesso svogliato.
Quattro anni di vita precaria e sospesa, punteggiata di verdetti sulla mia sopravvivenza. E due d'inutili, patetici tentativi di darle un seguito. Sognando chiese, persino, e accendendo ceri e candele, non tanto per chiedere di avere ma per riuscire a sperare, e per placare infantili sentimenti d'odio e d'invidia nei confronti delle bambine più fortunate di me, di quelle più giovani, di quelle altrettanto sfortunate che però un risarcimento l'hanno avuto.
Se tutto quel che temevi potesse accaderrti ti è già accaduto, forse non hai più molto da temere (tutto sommato). Eppure temi, e alzi la posta, e i timori s'ingrandiscono e si fanno più ambiziosi, come profezie che si autoavverano, finché non cominci ad aver paura di te stessa. Cassandra. Tu non sarai mai madre. Mai.