venerdì 10 febbraio 2012

La blastocisti solitaria

Ho chiamato il laboratorio per sapere che cosa ne è stato dei miei tre embrioni sovrannumerari: ne resta solo uno, una blastocisti congelata. Mi chiedo che cosa ne sarà di lei: sopravviverà allo scongelamento, poverina? E se ce la farà, non si sentirà sola là dentro, nella steppa infertile? Se comincio ad affezionarmi anche agli embrioni è la fine: da qui al fanatismo religioso il passo è breve.
Le notizie sullo scongelamento sono contrastanti: c'è che dice che sopravvive solo un 50%, chi stima il 91% di possibilità. E io, che nelle percentuali rientro solo quando c'è da beccarsi una malattia rara e stronza, non so più che cosa pensare.
Nel frattempo, ho chiesto notizie dei due poveri e commoventi quattrocellule che sono finiti chissà dove dentro di me: erano belli, buona morfologia. Ma hanno deciso comunque di suicidarsi.
E mentre aspetto di ritirare le beta con la grande speranza che possono infonderti solo un test negativo e le mestruazioni... la consapevolezza che dovrò ricominciare tutto fra sei mesi o giù di lì si fa sempre più limpida, e s'impianta nel mio cervello come nessun embrione ha mai fatto nel mio utero.
In tutto ciò, il dispensatore di spermatozoi non dà segno della minima emozione. Beato lui.

giovedì 9 febbraio 2012

La questione non è se, è quando

Comincio a pensare che noi donne della PMA siamo dei piccoli Don Chisciotte destinati a combattere con fede cieca nelle nostre risorse emotive contro il mulino a vento della selezione naturale, quella che ha deciso che no, non siamo destinate ad avere figli, discendenti, continuazione genetica su questa terra.
Qualcuno potrebbe obiettare che non si tratta di selezione naturale in senso ortodosso - su questo non mi sento di discutere, sono troppo ignorante in materia per poter sollevare argomentazioni valide.
Ma concedetemi la licenza poetica: siamo giraffe dal collo corto che vogliono per forza arrivare a quell'albero lassù, a quella fogliolina verde e fresca fresca. Non ci trovo nulla d'irrazionale, né di ostinato.
In fondo non c'è nulla di diverso, nel nostro accanirci per dare la vita, da quello che fa un malato aggrappandosi con le unghie e con i denti alle cure per sopravvivere. Sempre di combattere la selezione naturale si tratta.
E allora perché tanti ci guardano con sospetto? Perché anche gli insospettabili ci tacciano segretamente di patetismo, accanimento, testardaggine, egoismo? Perché due pesi e due misure? In fondo, anche l'infertilità (o peggio sterilità, come insiste a scrivere il mio medico su tutte le impegnative e i certificati) è una "malattia" da curare, un ostacolo di aggirare.
E lo dico con cognizione di causa, perché mi sono trovata in entrambe le scarpe: ho lottato per la mia stessa vita e adesso, non paga, lotto per darla.
Nulla di particolarmente valoroso: è la natura che me lo impone, abbattendo con i suoi istinti tutti i miei scrupoli razionali.
Ho cominciato questo blog qualche tempo fa con un tono cupo e drammatico che in questo momento non mi si addice.
Strano a dirsi, visto che sono reduce dalla mia prima ICSI fallita. Eppure, in qualche modo, mi sento alleggerita. L'idea di avere avuto il coraggio di arrivare fin qui, di essere pronta a fare tutto il possibile per mettere al mondo questo benedetto bambino, di stare in qualche modo affrontando la "malattia" con le migliori cure a disposizione, mi rassicura.
Nessuno può garantirmi che funzionerà, ma intanto non lascio nulla d'intentato - finché potrò, finché ci riuscirò - affinché io non debba un giorno rimpiangere di non averlo fatto.
Fin qui sono stata un'inguaribile pessimista e non ha funzionato; adesso voglio provare a essere ottimista, a credere che la questione non è se ci riuscirò, ma quando.
E vaffanculo a te, Charles Darwin! Tanto mi sei sempre stato antipatico.